Prima viene l’idea. Un’immagine che potrebbe essere vicina al sogno, un’associazione di idee, una fantasia che si riallaccia ad un particolare vissuto, un oggetto, un luogo o ad un puro pensiero. Ogni singola parte del mondo esteriore come la più recondita dimensione della propria sfera interiore possono giungere a suggerire l’idea per un’immagine, per un nuovo universo creativo, per una nuova realtà da rappresentare.
Quindi segue la preparazione di tutto ciò che e necessario a rendere quell’idea concreta, tangibile, presente, in una parola, fotografabile. Scelta dei personaggi, dell’ambientazione, costumi, luci, scenografia, trucco. L’opera di Roberto Kusterle è del tutto simile a quella di un regista che sceglie in prima persona tutti i dettagli entranti a far parte del suo film. Un corpo, un volto, una veste, un oggetto, un ambiente: ogni elemento è studiato e scelto accuratamente, sia esso rinvenuto misteriosamente o sia costruito ad hoc seguendo l’immagine di quell’idea, la traccia di quel pensiero da rendere reali, percepibili, corporei.
Certo si tratta di un film totalmente concluso in un unico fotogramma, in qualche caso collegato tematicamente o scenograficamente ad una sequenza di altri fotogrammi, ognuno dei quali risulta essere sempre, comunque assolutamente autonomo per espressione e significato.
Realtà o irrealtà? Vero o falso? Fotografia, arte o cosa?
Non si può parlare soltanto di fotografia a proposito dell’opera di Kusterle dunque, ma anche di ambientazione, narrazione, un insieme di invenzione ed estensione del pensiero che permettono di giungere ad un’immagine sapientemente, perfettamente, meravigliosamente espressa attraverso la tecnica fotografica.
Di fronte alle sue immagini fotografiche è difficile rendersi conto del lavoro, della preparazione, della cura e anche della fatica che comporta una messa in scena del genere. E’ difficile perché l’occhio di chi guarda viene immediatamente catapultato in un mondo attraente e inquietante insieme, lontano dall’universo quotidiano eppure strettamente legato alla dimensione umana. La sensazione é contraddittoria almeno quanto l’immagine, per il suo essere corpo e pensiero contemporaneamente, verità e finzione nel medesima attimo, luogo e distanza nel medesimo spazio della composizione.
Potrebbero sembrare immagini simboliche, o allegoriche di una qualche ulteriore verità. In realtà il simbolo, l’allegoria risultano soltanto allusi, proposti quasi a livello di ipotesi,facendo intuire alcune componenti di significato che potrebbero richiamarsi al mito o all’allegoria. Ma ciò accade per quello strano terreno che Kusterle va ad indagare nella sua opera: un terreno o meglio, un territorio sospeso tra superficie terrena ed infinito, tra presenza e assenza, tra l’io e il suo doppio, in una ricerca che pare aspirare a raggiungere le radici dell’uomo e della terra, in una dimensione al di fiori del tempo e dello spazio che in ogni caso sentiamo in qualche modo appartenerci.
Franca Marri