Che cosa sarebbe la vita di ogni giorno se non potessimo contare su categorie certe e confini precisi? Se un uccellino si posa sulla mia spalla, io resto un uomo e lui resta un uccello. Se mangio una mela o una bistecca di manzo, non mi aspetto che di lì a poco le mie braccia si trasformino in rami, o che la mia voce si converta in muggito. Se la mia pelle si lacera, so che vi troverò sotto dei muscoli irrorati dal sangue e, più sotto ancora, delle ossa.
Ma questo non avviene nel mondo di Roberto Kusterle. Un mondo in cui nessun dettaglio, di per sé, è altro se non copia fedele di un oggetto naturale. Un mondo che ruota attorno a figure che ricordano fin troppo bene uomini e donne reali, ma che fa a pezzi molti confini sulla cui esistenza si fonda il nostro quotidiano.
Rottura di confini, peraltro, non vuol dire confusione, caotica mescolanza di elementi. In queste immagini, i confini vengono demoliti a uno a uno, trascinando ogni volta l’osservatore verso un soggetto che sembra promettere certezza, salvo poi rivelare uno sfondamento di confini che ad un tempo affascina e lascia interdetti.
Forma elementare di questo sconfinamento – così caratteristica di queste opere di Kusterle da rappresentare l’equivalente di uno di quei ‘caratteri diagnostici’ che il naturalista facilmente individua come caratteristici di una specie – è il contrasto fra un esterno vivo umanoide e un interno secco e vegetale. Un contrasto che toglie ogni appoggio al nostro piede, non appena abbiamo varcato la soglia della pelle. Di là da quella, niente muscoli, niente visceri, niente sangue, bensì un fitto groviglio di rami secchi nel quale non ci può essere traccia alcuna di vita umana. C’è, bensì, spazio perché un uccelletto vi faccia il suo nido, o un piccolo mammifero si ricavi la sua tana.
Ma questo non è che il primo passo, nell’implacabile rottura di confini operata dall’artista. Il passo successivo è l’erompere, fuori dagli apparenti confini della forma umana, di propaggini di quell’arido mondo interno che prendono la forma di rami spezzati, lunghi appena quel tanto che basta perché vi si possa appollaiare un uccello. Un uccello, tuttavia, che comunque rimane ben distinto da ciò che resta di un uomo.
Questo, almeno, nella seconda tappa di questo inquietante cammino. Nella terza tappa, però, la scure dell’autore si abbatte proprio sui confini materiali fra l’uomo e l’animale coperto di penne o di pelo. Ma è fin troppo facile rimpiazzare una parte della figura umana con le forme di un uccello, di un mammifero, di una conchiglia. L’arte raffinata di Kusterle trova ben altri, più raffinati mezzi per rimuovere i confini. Come nel Volo notturno, dove l’uomo e l’uccello notturno che sta tra le sue mani conservano la loro distinta identità, se non fosse per il fitto manto di piume che con straordinaria naturalezza si allunga a vestire tutta la forma umana.
In una serie ulteriore di immagini, dove la chiave del doppio diventa il tema dominante, Kusterle rispetta appieno una legge fondamentale della teratologia umana e animale: quella specularità, quella simmetria, che conferisce ai mostri un’inattesa dimensione di legalità. In The white mask, però, l’immagine speculare della testa umana prende le fattezze di un cranio di ariete: qui non c’è solo una commistione fra specie ma anche quella, più dolorosa, fra una forma morta e una forma viva, che si affiancano come parti simmetriche di un tutto.
Sul tema delle simmetrie Kusterle ci offre anche delle prove diverse, forse meno inquietanti, ma in compenso più ricche di suggestioni geometriche, come la doppia simmetria di Meeting in the woods o il moto spirale della Wedding dance, dove l’avvitarsi delle forme umane si fonde con l’avvitarsi delle spire dei due grandi murici in cui sfumano le loro chiome.
Sono ben tre le opere (Fear of seduction e le due versioni di Holy wedding) dove i confini tra specie vengono negati, ma nulla mette in discussione le identità e i ruoli, distinti e complementari, del maschio e della femmina. C’è dunque un confine, almeno, che Kusterle si rifiuta si cancellare: il confine fra l’uomo e la donna, o fra quanto di uomo e di donna può rimanere, dopo la rottura di tanti altri confini.
Alessandro Minelli